Meno ansia al lavoro: chiarezza, progettualità e network.

Meno ansia da lavoro e come gestirla con chiarezza, progettualità e networkNon ci sono ricette, in realtà. La vita professionale spesso ci riserva fatiche che richiedono tutte le nostre energie, sensibilità e capacità. In qualche caso non ci sono scorciatoie e l’ansia è il dazio da pagare per ottenere soddisfazioni e riconoscimenti o per stare al passo col ritmo che ci viene richiesto. O semplicemente per tener duro e strappare al mondo del lavoro quel minimo che ci spetta per poter vivere decentemente.

È importante però non superare i livelli di guardia: l’ansia oltre un certo limite rischia di cronicizzarsi e di diventare patologica.

C’è un livello di fatica emotiva che fa parte del gioco, e a questa difficilmente ci si può sottrarre, pena il sacrificare quote importanti della nostra esistenza. Tuttavia, lavorando con le persone dentro e fuori dalle aziende, mi rendo conto che c’è una dose di sofferenza psicologica gratuita, che si potrebbe (e dovrebbe) evitare.

L’ansia al lavoro si genera da un incrocio perverso di condizioni personali, legate alla propria storia e al proprio carattere, e di condizioni professionali e sociali, riconducibili quasi sempre ad una ridotta possibilità e capacità di controllo. Ciò che le persone sperimentano è una condizione soggettiva di minor sicurezza, di maggiore incertezza e di mancanza di controllo su ciò che gli accade e sul proprio futuro. La percezione, al di là che ciò sia vero sul piano oggettivo, è di soccombere al volere degli altri e di essere spesso in balia delle loro decisioni, umori e intenzioni.

Come si può recuperare un po’ di sicurezza psicologica al lavoro? È possibile ridurre l’incertezza? Si può ridurre la sensazione che il nostro futuro dipenda troppo delle decisioni degli altri?

A mio avviso ci sono tre condizioni che possono venire in aiuto*.

La prima: chiarire bene il compito che ci è richiesto e comportarci in modo coerente. Ciò significa avere spesso un confronto con i propri interlocutori, il capo in primis, e capire insieme a loro che cosa hanno bisogno di ricevere da noi. Il più delle volte le persone al lavoro cadono nella trappola di dare seguito a richieste non chiare e di mettersi a fare prima di aver capito bene cosa o di accettare compiti impossibili. Il mettersi a fare è purtroppo un ansiolitico e spesso le persone ne abusano!

Una seconda condizione è avere un progetto per sé nel futuro. Ciò significa dedicare del tempo a pensare a ciò che vorremmo: quale lavoro? A quali condizioni? Con quale equilibrio con gli altri aspetti della nostra vita? Chiarirsi il progetto può non essere così semplice. Molte volte abbiamo dei desideri, ma trasformarli in progetto significa decidere, e il decidere ci riporta alla realtà che non sempre corrisponde al desiderio. In ogni caso, se non abbiamo un progetto rischiamo, al lavoro come nella vita, di essere il progetto di qualcun altro, e ciò non è mai buona cosa.

Una terza condizione è avere una rete di relazioni, un buon network: persone e colleghi su cui poter contare. Questa il più delle volte non è una condizione di partenza ma è il risultato del nostro comportamento. Avere (costruire e manutenere) una buona rete di relazioni è ciò che ci può essere di aiuto nei momenti di difficoltà, di incertezza e di mal parata, degli altri o della sorte: quando si inciampa o si cade la rete sostiene e attutisce il colpo. Ma, come fanno i pescatori, la rete va costantemente pulita, rammendata, rinforzata.

Chiarezza del compito, un progetto per sé e una buona rete sono condizioni che possono almeno in parte metterci al riparo da un eccesso di ansia al lavoro.

Poterlo fare passa attraverso una serie di consapevolezze, attenzioni e capacità che si possono allenare. In tutto ciò gioca un ruolo spesso importante il carattere, che è il modo che abbiamo imparato di stare al mondo. Ma anche a quello, con pazienza e costanza, possiamo  dare un forma più confacente al nostro stare bene. Dentro e fuori dalle relazioni professionali.

*Lo scritto prende spunto da alcune riflessioni contenute nel libro di G. Varchetta (2007) L’ambiguità organizzativa. Milano: Guerini & Associati.

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