Alla nascita di un bimbo la conciliazione vita-lavoro delle mamme e dei papà deve trovare nuovi equilibri attraverso una ridefinizione di compiti e responsabilità. Per evitare che a soccombere sia soltanto la mamma che lavora servono leggi e investimenti pubblici, ma serve anche mettere in discussione nella coppia alcuni assunti culturali oramai da superare.
In questo giorni la stampa sta (giustamente) riportando l’attenzione sul congedo di paternità, la cui sperimentazione terminerà quest’anno nel caso non venisse confermata dal Governo. Il congedo, che inizialmente era di un giorno e poi di due, è stato introdotto nel 2013. La legge di Stabilità 2018 lo ha raddoppiato da 2 a 4 giorni (congedo obbligatorio remunerato al 100 per cento) ma si tratta di una misura sperimentale che in assenza di interventi normativi si concluderà il prossimo 31 dicembre.
La questione del congedo di paternità apre ad una riflessione più ampia, non solo sul versante normativo, ma anche su quello culturale e sulle dinamiche psicologiche e sui ruoli all’interno delle famiglie, non sempre esplicitate ed esplicitabili e non del tutto consapevoli.
Quando nasce un bambino, il work-life balance è da ri(cercare) insieme e questa ricerca chiede alle mamme che lavorano e soprattutto ai papà un cambio di ruolo e di identità per nulla scontati. Come ho messo in evidenza in un precedente post Mamme che lavorano: papà dove sei? molto spesso l’impossibilità di farlo è legata a valori, modelli e false credenze che piano piano devono essere riconosciuti e superati, come sta già avvenendo in altri paesi*.
Congedo di paternità: profezie che si auto-avverano e falsi miti
Il tema del congedo di paternità, e il cambio di identità del ruolo del papà da esso evocato, muove una serie di emozioni e di paure poco o per nulla consapevoli ed elaborate. Queste emozioni portano spesso ad altrettante razionalizzazioni difensive, come ad esempio: il papà guadagna di più e quindi è la mamma che deve stare a casa; per i papà non è possibile ridurre l’orario di lavoro perché le aziende fanno richieste sempre più pressanti; il ruolo della mamma è fondamentale nei primi anni e quindi è lei che deve occuparsi dello sviluppo del bambino.
Spesso le mamme che lavorano, per quieto vivere, per cultura o per rassegnata rinuncia, colludono e assecondano queste credenze.
I papà guadagnano di più?
Il fatto che i papà guadagnino di più è frutto di una lunga storia di potere, di distorsioni e discriminazioni**. Alcune sono esplicite e intenzionali, come ad esempio il non assumere o non far fare carriera ad una donna perché probabilmente rimarrà incinta, o se è una mamma che lavora non potrà dare la disponibilità che al suo posto darebbe un uomo. Altre sono invece sottili e talvolta invisibili, come ad esempio fissare con leggerezza meeting importanti in orari incompatibili con gli impegni di una mamma o considerare premianti al lavoro alcune competenze negli uomini e valutarle negativamente nelle donne o distorcere la valutazione se l’oggetto da valutare è la competenza anziché il risultato, come evidenziano le ricerche sui cosiddetti second generation bias***.
Tutto questo e altro ancora ha fatto sì che oggi effettivamente in molti ambiti gli uomini guadagnino spesso più delle donne.
Tuttavia, anche quando in una coppia è così, c’è da chiedersi se la scelta di favorire il lavoro del papà sia davvero l’unica scelta possibile o se invece la famiglia non possa trovare un diverso equilibrio economico, affettivo e di suddivisione dei compiti, per rendere possibile alle mamme che lavorano la convivenza di un ruolo materno e di uno professionale.
I papà devono stare tanto in ufficio?
Veniamo al tempo di lavoro richiesto ai papà. Da più parti si sta mettendo in discussione il mito della quantità di tempo che serve per lavorare e qualche manager, illuminato, sta iniziando a considerare la permanenza extra-orario delle persone al lavoro come profonda incapacità ad organizzare il proprio lavoro e quello degli altri. Il fatto che le persone stiano tanto in azienda non ha nel nostro paese un corrispettivo in termini di efficacia ed efficienza. In Italia siamo da tempo tra gli ultimi posti in termini di produttività: tradotto, significa che la permanenza delle persone in azienda spesso non ha un corrispettivo in termini di utilità e valore.
Frequentando da tempo le organizzazioni, spesso ho la sensazione che le persone passino molto tempo in ufficio non perché ci sia sempre così tanto da fare ma perché hanno disimparato a stare in altri luoghi, la famiglia in primis. Gli impegni extra-orario, le riunioni infinite, i briefing serali per discutere il dettaglio del dettaglio … sembrano talvolta rispondere più ad una esigenza di compagnia da parte dei capi o dei pari più che ad una necessità pratica legata al business.
Per il bambino, la mamma è più importante?
Infine, per quel che riguarda il ruolo della mamma nello sviluppo del bambino, pur essendo vero come sostiene l’infant reserach che una buona relazione di attaccamento è prevalentemente fondata sul rapporto tra la madre e il bambino, è allo stesso tempo altrettanto vero che la relazione instaurata col padre è a fondamento di uno sviluppo della sicurezza di sé, dell’autostima e della capacità di aprirsi al sociale, come messo in evidenza dalle ricerche****. Non solo: la mamma è capace di una buona relazione di attaccamento anche grazie al supporto emotivo e pratico che riceve dal proprio partner. Come infatti sosteneva lo psicoanalista inglese Winnicott, la mamma è per natura sufficientemente adeguata (sufficientemente buona) a prendersi cura del proprio figlio, a patto che sia in questo sostenuta da contesto familiare e sociale che la circonda.
Ben vengano quindi le sollecitazioni alla conferma di leggi civili e a difesa delle mamme che lavorano, come il congedo di paternità. Ben vengano anche riflessioni e atti concreti per incentivare e sostenere la condivisione delle responsabilità familiari tra le mamme che lavorano e i papà. Ben venga infine la possibilità e il coraggio all’interno delle coppie di mettere in discussione (sic!) alcuni assunti culturali in modo da far nascere insieme al bambino una nuova e rinnovata famiglia.
*The Fatherhood Institute (2016). Fairness in Families Index. Capstone Project , Master of Public Administration, London School of Economics and Political Science.
**Per chi avesse dei dubbi a riguardo consiglio la lettura del libro A Room of One’s Own di Virginia Woolf, molto chiaro e lucido sul tema.
***Carter S. B. (2011). “The Invisible Barrier: Second Generation Gender Discrimination”. Psychology Today, 1 May.
****Rohner, R.P., Khaleque A. & Cournoyer D.E (2005). “Parental Acceptance‐Rejection: Theory, Methods, Cross‐Cultural Evidence, and Implications”. Ethos: Journal of the Society for Psychological Anthropology.
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