Decisione e idealizzazione

Decisione e idealizzazioneDecidersi ha come finale un atto concreto che rompe l’indugio, libera energia e rende reale qualcosa che fin lì si era solo immaginato: una telefonata difficile ad un collega, l’invio di una mail scritta e riscritta infinite volte, la scelta di andarsene, la firma di un nuovo contratto, una dichiarazione d’amore.

Quel sostare nell’incertezza che precede la decisione genera una tensione che alimenta contemporaneamente il timore e il desiderio di procedere: un dialogo interiore a volte creativo e piacevole, altre volte faticoso e difficile, che prelude un cambiamento. Più la decisione ha a che fare con cambiamenti importanti della nostra vita personale o professionale, più questa tensione è difficile da contenere.

Per alcune persone questi momenti sono tutt’altro che facili: c’è un indugiare estenuante nell’attesa, una tensione pesante e paralizzante, un sovrainvestimento di analisi e riflessione, spesso accompagnati da un sentimento ansioso o vagamente depressivo o entrambe le cose.

Se in generale ciò non è piacevole da sopportare, in ambito professionale diventa addirittura penalizzante e ostacola il normale funzionamento del proprio lavoro e il proprio sviluppo.

Normalmente nei momenti di indecisione è necessario concedersi un tempo adeguato di sospensione e ragionamento, liberarlo dall’urgenza del fare, tollerare le emozioni che lo accompagnano, vagliare e soppesare le ipotesi fino a maturare una buona decisione.

Per molti ciò non è emotivamente possibile, e il tempo che prelude la decisione non è tempo veramente libero ma è occupato da un’incertezza senza contenuto, da un senso di disagio, da un’attesa che non è preludio di nessun cambiamento. È un procastinare che sposta sempre un po’ più in là la scadenza senza passare all’azione, e così la decisione è rimandata a più tardi, e poi a domani, e poi a quando ci saranno finalmente le condizioni ideali.

Quell’aspettare o decidersi a fare, quell’indugiare o passare all’atto, quel restare e quel partire, come nei versi di Metastasio, sono confusi, pieni di dubbi, entrambi sgradevoli e a lungo andare angoscianti.

Se non un martirio, è senz’altro un patimento, che può bloccare, spossare, sottrarre energie buone che vengono consumate alimentando l’irrequietezza, l’ansia del tempo che passa, il disagio dell’inconcludenza.

Perché talvolta è così difficile decidersi?

Perché lo è di più per alcune persone?

Non è così semplice spiegare le origini di un comportamento complesso, perché sfugge a semplificazioni lineari di causa-effetto: se A allora B non è proprio del comportamento e della mente degli umani. Tuttavia, talvolta si possono individuare delle ricorrenze e dare senso a posteriori a un certo modo di fare e di essere.

Nella mia esperienza in ambito clinico e psicoanalitico ho spesso riscontrato che la difficoltà a decidersi, in particolare di fronte a scelte importanti, è più frequente in persone con una tendenza all’idealizzazione e sulla cui storia hanno pesato aspettative talvolta esageratamente elevate. Non dico che tutti coloro che sono stati investiti di troppe aspettative, a partire dai primi anni della loro vita, si ritrovino da adulti ad essere degli indecisi. Tuttavia, là dove l’idealizzazione è stata eccedente le possibilità della persona, lì è possibile riscontrare una difficoltà a decidere e una maggiore fatica a dare seguito concretamente a progetti di cambiamento.

Decisione e idealizzazione

L’idealizzazione è importante nelle relazioni: lo è nella relazione tra un bimbo e i genitori, tra due persone che si innamorano, tra un allievo e il suo maestro. Molte relazioni non sarebbero mai nate senza un’iniziale processo di idealizzazione, che è quindi funzionale allo sviluppo personale, all’apertura al sociale, allo scambio e all’alterità. Ma è altrettanto importante poter poi fare i conti con la realtà, con i limiti e con i difetti propri e degli altri e dare vita a relazioni sane e di scambio, reali e non ideali, basate sulla solidarietà e sulla reciprocità.

Se l’idealizzazione ha occupato una parte troppo estesa dello sviluppo del sé viene a mancare la capacità di confrontarsi con i limiti del reale e con i propri e di cercare nello scambio con la realtà e con gli altri occasioni di piacere e di crescita: la realtà sarà sempre più deludente di quel che avrebbe potuto essere, noi compresi.

Questo mediare tra ideale e reale, tra illusione e disillusione, tra desiderio e possibilità ha a che fare con le vicende del venire al mondo e del crescere, del diventare persone adulte.

Ma il venire al mondo non riguarda soltanto le persone: riguarda le idee e i progetti e il decidere di metterli al mondo oppure no, di tradurli in azioni concrete o di lasciarli esistere soltanto nella nostra mente.

Ecco che allora quell’eccedenza di idealizzazione si ripresenta, e quell’aspettativa così elevata che per lungo tempo ha gravato sul nostro modo essere potrebbe rifare capolino e rendere pesanti e soffocanti le nostre decisioni.

Ci sarà sempre qualcosa che manca, una cosa in più da sapere, una limatura per perfezionare.

Ecco che si affaccia silenzioso il dubbio di deludere, la prova dell’imperfezione, lo sguardo di disapprovazione e di rifiuto.

Non importa se gli altri non ci stanno in quel momento guardando: gli altri oramai si sono mescolati con noi, non sono più distinguibili da ciò che siamo, perché gli infiniti sguardi, rimproveri, abbracci, parole, silenzi sono diventati intenzioni, automatismi, caratteristiche che ora ci appartengono.

Decisione e idealizzazione: cosa fare?

Se ci troviamo in queste condizioni dovremmo intraprendere un lavoro su noi stessi per poter cambiare?

Abbandonare la tendenza a idealizzare è per molte persone tutt’altro che facile perché è diventata costitutiva del proprio modo di essere. Anche quando è divenuta disfunzionale, cercare di farne a meno sarebbe come amputare una parte di noi che ci ha sorretto, confortato e consentito di esistere.

Il falso sé idealizzato sarà anche falso, ma spesso è molto meglio di quello reale, ha commentato una volta un mio paziente!

Fare i conti con la delusione

Per passare dall’idealizzazione all’autenticità è inevitabile pagare lo scotto della delusione, nostra o degli altri, e fare i conti con sentimenti depressivi e di mancanza.

Penso sia questo il motivo per cui i momenti di indecisione su questioni importanti sono spesso accompagnati da un ritiro apatico e da sentimenti malinconici.

Dare senso  alle emozioni

Certamente, un prima condizione importante è tollerare questa oscillazione emotiva e decodificarla come indicatore di un movimento interno potenzialmente evolutivo, anziché come sconfitta. Qui la depressione non va interpretata come sentimento di impotenza e inadeguatezza, quanto piuttosto come manifestazione di uno scontro tra parti di sé che sono in lotta per confermarsi o per scomparire, per emergere o per soccombere: c’è qualcosa che potrebbe morire e qualcosa che potrebbe nascere.

Mettere in parole pensieri ed emozioni

Una seconda condizione è di parlarne con qualcuno. Quando è all’opera l’idealizzazione, ciò che si agita nel protrarsi dell’indecisione appartiene al mondo interno degli affetti e delle rappresentazioni. Il parlarne con qualcuno, meglio se capace di accoglienza e franchezza, consente di porre un limite di realtà ai pensieri e alle emozioni, e di rendere i fantasmi meno pericolosi e angoscianti.Talvolta anche un primo colloquio o un consulto breve possono essere risolutivi nel fare chiarezza sui motivi dell’impasse e su come risolverla.

Riferirsi ad alcune tecniche di decisione

Infine, in aggiunta a tutto ciò valgono le tecniche e gli strumenti di decisione che si insegnano ai corsi di formazione. Non sono risolutivi, ma aiutano anch’essi a rendere più razionale e oggettivo qualcosa che spesso si muove sull’onda delle sole emozioni e potrebbe farci perdere l’orientamento.

Quanto più saremo in grado di contenere l’idealizzazione e fare spazio a ciò che siamo e pensiamo realmente, tanto più saremo capaci di accogliere e perdonare i nostri limiti e difetti, e potremo prendere buone decisioni senza consumarci in estenuanti attese improduttive.

Tanto più potremmo smetterla di interrogarci su quanto bello sarebbe il nostro mondo se … e farlo accadere davvero. Non rimuginare sulle condizioni ideali e impossibili, ma alzare la testa e guardare l’alba e un nuovo giorno che altrimenti nascerebbe dietro alle nostre spalle. Come racconta questo spezzone ormai storico, con cui prendo congedo.

2 pensieri riguardo “Decisione e idealizzazione

  1. grazie per il tuo saggio commento selle decisioni e altro .Sono proprio in questa fase della vita e anche se so che a noi stessi spetta là scelta, anche se faticosa, parole come le tue sono non solo di conforto ma aiutano a guardarsi dentro e non fuggire. Un saluto ciao
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    1. Cara Liana, mi fa piacere il tuo commento e sono contento che le cose che ho scritto possano aiutarti e riflettere. Quando usi il “noi” (… a noi spetta la scelta…) non posso non pensare a tutte le voci e ai dialoghi interiori che si accavallano quando siamo chiamati a decidere. Tutte le voci sono importanti, anche quelle che ci consigliano di fuggire o di far finta di non vedere: se le accogliamo senza severità saranno meno potenti quando ascoltato tutto il resto ci potremmo finalmente apprestare ad agire. Come posso aiutarti ad approfondire?

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