Come realizzare una consulenza psicologica online

Un numero sempre maggiore di persone utilizza internet anche per la psicoterapia online o per il coaching online. La modalità per realizzare una consulenza psicologica online è molto semplice. Ecco cosa serve fare.

Come realizzare una consulenza psicologica online con smartphone tablet o pc viaSkype Whatsapp o FaceTimeAl fine di avviare la sessione con lo psicologo on line è necessario avere uno smartphone o un tablet oppure un computer con un microfono funzionante e una webcam, incorporata al pc o esterna, e una connessione internet. Occorre inoltre avere installato il programma o l’applicazione che si intende utilizzare, scaricabili gratuitamente: Skype, Hangouts, Whatsapp o Facetime (per chi utilizza Iphone o Ipad).

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Workaholism: quando il troppo lavoro nasconde qualcos’altro

Il termine workaholism (o work addiction) viene utilizzato per indicare la dipendenza da lavoro, ovvero un coinvolgimento eccessivo e privo di limiti nella situazione lavorativa. Questa forma di dipendenza è spesso legata alla propria storia personale.

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Workaholic: presi dagli ingranaggi del lavoro

Il workaholism è una vera e propria dipendenza da lavoro. Il termine è stato utilizzato per la prima volta nel 1971 da Wayne Oates nel suo libro Confessions of a Workaholic e fa riferimento ad una sorta di “ubriacatura da lavoro”, proprio per le analogie che questa patologia ha con la dipendenza da alcool.

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Vacanze, ripresa del lavoro e psicoanalisi: ripartire in salute dopo la pausa estiva

Riprendere a lavorare dopo la pausa estiva genera per ciascuno pensieri ed emozioni differenti. Tutti, anche un poco esagerando, tendono ad utilizzare l’espressione “trauma da rientro”: per alcuni è soltanto un modo di dire, mentre per altri il rientro al lavoro è un passaggio critico.

Ci sono persone per le quali prevale il desiderio di riprendere le attività, i progetti lasciati, lo scambio con i colleghi: la pausa estiva le ha aiutate a fare un carico di energie per ripartire. Altri hanno invece sentimenti e pensieri contrari: rifiuto, demotivazione o desiderio irrealistico di fuga. Spesso questi sentimenti sono accompagnati da malesseri fisici (mal di testa, insonnia, nausea) o piccoli incidenti che riguardano se stessi o i propri oggetti (fratture, strappi, caduta del pc) o atti mancati (sbagliare strada, uscire ad un’altra fermata della metro, dimenticare il telefono a casa) che testimoniano nella loro concretezza qualcosa che si agita a livello emotivo.

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Mamme che lavorano: come cambia anche il ruolo del padre

Mamme che lavorano ruolo del padreL’interrogativo con cui ho intitolato il mio post precedente Mamme che lavorano: papà dove sei? invitava ad una riflessione sul cambiamento ancora solo all’inizio del ruolo del padre quando la mamma lavora.

Questo cambio di ruolo (e di identità) riguarda entrambi i genitori: le mamme che lavorano spesso non possono prendere come riferimento il modello di madre che hanno introiettato nella loro esperienza di figlie e sono chiamate più di un tempo a trasformare modalità, abitudini e identità .

Ciò vale altrettanto per i papà.

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Decisione e idealizzazione

Decisione e idealizzazioneDecidersi ha come finale un atto concreto che rompe l’indugio, libera energia e rende reale qualcosa che fin lì si era solo immaginato: una telefonata difficile ad un collega, l’invio di una mail scritta e riscritta infinite volte, la scelta di andarsene, la firma di un nuovo contratto, una dichiarazione d’amore.

Quel sostare nell’incertezza che precede la decisione genera una tensione che alimenta contemporaneamente il timore e il desiderio di procedere: un dialogo interiore a volte creativo e piacevole, altre volte faticoso e difficile, che prelude un cambiamento. Più la decisione ha a che fare con cambiamenti importanti della nostra vita personale o professionale, più questa tensione è difficile da contenere.

Per alcune persone questi momenti sono tutt’altro che facili: c’è un indugiare estenuante nell’attesa, una tensione pesante e paralizzante, un sovrainvestimento di analisi e riflessione, spesso accompagnati da un sentimento ansioso o vagamente depressivo o entrambe le cose.

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Oltre il senso di colpa (mamme che lavorano)

senso di colpa mamme che lavoranoNon è solo un gioco di parole: penso davvero che si possa dare un senso al senso di colpa delle mamme che lavorano. Penso anche che se il senso di colpa venisse adeguatamente compreso e trasformato potrebbe diventare una risorsa emotiva da utilizzare anziché un sentimento sgradevole da ricacciare in fondo all’animo o rimuovere. Anche perché il rimosso cacciato dalla finestra rientra mascherato dalla porta.

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L’ansia, un urlo silenzioso

Ansia urlo silenziosoL’ansia è un urlo silenzioso, un modo complicato per dire a noi stessi che non siamo d’accordo con ciò che stiamo facendo e con ciò che gli altri stanno facendo con noi.

Può sembrare strano considerarla in questo modo perché non è così che l’ansia si manifesta. Per molte persone è proprio l’incapacità di urlare (o di aver urlato) le proprie ragioni a generarla.

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Psicoterapia del lavoro

Psicoterapia del lavoroSe la parola “psicoterapia” non fosse così marcatamente connotata di significato medico, potremmo dire che moltissime persone nel lavoro prima o poi hanno bisogno di psicoterapia.

Per poter pensare di servirsene senza che ciò abbia carattere di eccezionalità o di estrema ratio dobbiamo allontanarci dall’idea che la psicoterapia sia la “cura dei matti” o che sia un aiuto a cui ricorrere solo nel caso di gravi problemi psichiatrici o di indicibili traumi. O di condizioni di prostrazione psicologica fortemente inabilitanti. Se la pensassimo a questo modo è come se, per fare un parallelo, ci rivolgessimo al medico solo quando la nostra vita è in grave pericolo o andassimo dal fisioterapista solo quando non siamo più in grado di muoverci e camminare o se chiedessimo un consulto all’oculista quando siamo prossimi alla cecità. Ma in questi ambiti non facciamo così.

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